venerdì 21 marzo 2008

Alcune prime idee sparse sulla felicità

La felicità... probabilmente uno dei concetti elaborati dall'essere umano intorno al quale la filosofia ha creato il dibattito più articolato e duraturo. Pressoché in ogni sistema filosofico, dall'antichità ad oggi, troviamo traccia di un discorso sulla felicità. Proprio su questo terreno, però, ci imbattiamo in una prima difficoltà, di metodo.

Come afferma Michel Onfray, «La storiografia rientra nel campo dell'arte della guerra. [...] come affrontare il combattimento, misurare i rapporti di forza, mettere a punto una strategia e una tattica adeguata, gestire le informazioni, tacere, passare sotto silenzio, sottolineare l'evidenza, fingere, e tutto ciò che implica scontri per poter determinare vincitore e vinto? [...] la storiografia della filosofia non sfugge a questa legge».

In questo senso la storiografia della filosofia occidentale è dominata dall'idealismo filosofico ed è quindi una storia delle idee scritta dai vincitori dell'antico duello tra materialismo ed idealismo. Una storiografia che ha per obiettivo l'esaltazione e la celebrazione delle idee dominanti. «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante», secondo Marx. Una storia delle idee, dunque, tesa ad accreditare le visioni idealistiche del mondo succedutesi nei secoli; idee, pur nelle diverse sfumature, che consentono «di giustificare il mondo così come è, e di invitare a distogliersi da quaggiù, dalla vita, da questo mondo, dalla materia del reale» (Michel Onfray).

Non stupisce allora che l'idea di felicità legata all'esistenza per così dire terrena dell'uomo e i sistemi filosofici ad essa relativi siano stati, dalla storiografia della filosofia dominante, criticati, attaccati, demonizzati, derisi, quando non del tutto oscurati e lasciati scientemente al triste destino dell'oblio.

Il riprendere un discorso sulla felicità non può prescindere, pertanto, da un'operazione di ricostruzione storiografica tesa a valorizzare, per così dire, le idee dei vinti, ovvero quanti nella storia del pensiero umano si sono schierati contro «l'odio del corpo, l'eccellenza della morte, l'odio dei desideri, dei piaceri, delle passioni, della libido, della vita», per dirla ancora con Onfray. Valorizzare, in sintesi, le idee di quanti hanno posto la felicità quale obiettivo massimo da raggiungere nell'unica vita che, fino a prova contraria, vive l'uomo, cioè quella fisica, materiale, di questo mondo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

L’eroe della prima guerra di liberazione cubana, nel XIX secolo quindi, José Martí sosteneva che la felicità dei popoli può essere conquistata solo attraverso la conoscenza della natura. All’epoca le problematiche legate all’inquinamento non erano all’ordine del giorno. Essere umano, conoscenza, natura e storia; qualsiasi discorso sulla felicità non può essere alieno a questi concetti. La costruzione della felicità, il garantire il massimo della felicità possibile per il maggior numero di esseri umani - parafrasando un altro illustre personaggio della guerra di liberazione dal gioco colonialista spagnolo, Simon Bolívar, sempre nel XIX secolo – è il frutto e può essere solo il frutto di una lotta di lunga durata che si evolve nel dispiegarsi del processo storico e nel susseguirsi delle generazioni. Le storie dei popoli si intrecciano ‘con lacci di fraternità e di amore’ (Martí) in maniera tale che luoghi distinti e tempi distanti riconnettono i fili del discorso in maniera imprevedibile; fu così che il Salvato Sanfelice, figlio della eroina della Rivoluzione partenopea del 1799 Luisa Sanfelice e del rivoluzionario Salvato Palmieri, lo incontrammo nel secolo successivo correre sul suo cavallo attraverso le sterminate pianure colombiane per annunciare le vittorie (temporanee) del Libertador Bolivar inneggiando alla conquista della libertà e felicità dei popoli latinoamericani. Fu così che Giuseppe Garibaldi conobbe l’altra eroina Manuelita Saenz, la “Liberatrice del Libertador”, compagna fino alla fine dei suoi giorni di quel Libertador tradito e abbandonato, ma non domato, che morì con indosso una camicia presa in prestito. La storia è il prodotto di una stratificazione di eventi, di caso in quanto necessità assoluta e, cosciente e coscientizzante azione liberatrice umana. Tutto quello che ci circonda, evidenziava Gramsci, è il frutto di una modificazione inarrestabile, inevitabile, ineludibile, di una incessante stratificazione di tali modificazioni. Il pedagogista sovietico Lev Semenovic Vigostskij definì la ‘plasticità’ come caratteristica fondamentale della mente, dell’attività intellettiva, in una parola dell’intelligenza; quella capacità della materia autocosciente di modificarsi e di conservare memoria delle modificazioni che si verificano nel susseguirsi storico degli eventi. L’intelligenza collettiva - unica via per la conquista della felicità - è la rivoluzione lanciata verso il futuro dal realismo presente attraverso la conservazione delle modificazioni del passato.
(Ciro Brescia)

Anonimo ha detto...

“La politica non deve essere l’arte di dominare, ma l’arte di far vedere a tutti la giustizia. La più grande felicità è essere giusti, è un bene così grande che quelli che fanno del male sono i veri folli.”
Socrate

Rosario Cercola ha detto...

"Essere umano, conoscenza, natura e storia; qualsiasi discorso sulla felicità non può essere alieno a questi concetti. La costruzione della felicità, [...] è il frutto e può essere solo il frutto di una lotta di lunga durata che si evolve nel dispiegarsi del processo storico e nel susseguirsi delle generazioni.". Così afferma Ciro Brescia nel suo post.

Mi sembra una prima importante sollecitazione. La costruzione della felicità, quindi, come percorso storico, di lunga durata, che attraversa le generazioni che se ne faranno protagoniste. Un primo importante discrimine che mette in chiaro la dimensione collettiva dell'impresa: non vi è felicità individuale possibile fuori dal, o in opposizione al, processo di costruzione della felicità collettiva. Fuori da quest'impostazione vi è la prospettiva dell'individualismo o la falsa illusione di poter ritagliare improbabili spazi privati di felicità. Non è la nostra strada.