lunedì 14 aprile 2008

Grillo, l'antipolitica e Marx

Uno dei temi dei quali si vorrà discutere su questo blog è il rapporto tra la politica e l'antipolitica. Negli ultimi mesi, soprattutto nel nostro paese, questo tema è apparso di particolare rilievo in relazione a due fatti: da un lato la sempre più evidente disaffezione da parte del cittadino comune, medio, verso i temi e i personaggi della politica istituzionale, partitica per intendersi, dall'altro l'irrompere progressivo sulla scena massmediale del fenomeno legato a Beppe Grillo, ai suoi meetups, alle varie iniziative da essi generate, in primo luogo il cosiddetto V-Day. A conferma di ciò assistiamo al fatto che i principali esponenti del mondo politico ed istituzionale si affannano ad emettere la propria fatwa contro l'irresponsabile comportamento di quanti, Grillo in testa, diffondono uno spirito disfattista, qualunquista, anticivico.

Il tema è però, evidentemente, ben più complesso e travalica le italiche miserie, i ritornelli sulle caste, la lamentazione sulla cattiva politica. Dal nostro punto di vista esso offre, invece, l'occasione per provare ad indicare, anche qui, una strada nuova, un percorso non convenzionale. O perlomeno a sollecitare un'ulteriore riflessione.

In questa direzione appare interessante riprendere alcune considerazioni sul pensiero marxiano in tema appunto di politica e di Stato, per verificarne un possibile esito antipolitico, con la consapevolezza di muoversi su un terreno eretico dal punto di vista di moltissimi sedicenti seguaci del tedesco. Come sempre procederemo con delle tracce, dei frammenti di discorso, auspicando che esso sia ripreso ed approfondito da quanti vorranno farlo.

Torniamo a Marx. Nell'articolo Glosse marginali di critica all'articolo "Il re di Prussia e la riforma sociale, firmato: un Prussiano", pubblicato sul Vorwärts in due puntate nell'agosto del 1844, Karl Marx scrive: "L'intelletto politico è politico appunto in quanto pensa entro i limiti della politica. Quanto più esso è acuto, quanto più è vivo, tanto meno è capace di comprendere le infermità sociali". Una prima nitida indicazione del rapporto tra la sfera politica e quella sociale nella critica marxiana al pensiero borghese, come si vede.

L'ipotesi di lavoro che qui vogliamo formulare consiste nell'applicazione di tale critica anche al pensiero e all'azione che hanno ispirato i grandi movimenti di trasformazione sociale, in primis il movimento comunista internazionale, del secolo scorso. In altre parole si tratta di capire se l'intima essenza sociale della rivoluzione e della costruzione di una nuova società possa essere o meno sussunta nella sfera politica e se questo non sia stato, piuttosto, uno degli errori principali compiuti dai rivoluzionari del XX secolo.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

L'accezione borghese del termine 'politica' ha avuto il sopravvento nella societá italiana anche a causa del disarmo ideologico prodotto dalle forze politiche socialdemocratiche e riformiste che hanno annullato ideologicamente qualsiasi interpretazione di classe della societá, da qui il rifiuto tout court del termine e l'ambiguitá della cosiddetta 'antipolitica'.
Alla Radio Nacional de Venezuela la mattina trasmettono un programma di formazione ideologica (De primera mano) condotto principalmente dal professor Wladimir Acosta, oggi si sottolineava la differenza tra la democrazia borghese rappresentativa ed escludente e la democrazia rivoluzionaria che é caratterizzata dal protagonismo popolare e partecipativo. Due modi diversi ed inconciliabili, quindi, di concepire l'attivitá cosiddetta democratica; il primo mette sostanzialmente un muro divisorio tra sfera politica e sociale ed il secondo comprende e pratica l'unitá dialettica tra la sfera detta politica e quella sociale, senza concepirle scleroticamente separate.

Ciro Brescia

Ciro Brescia ha detto...

Qualcosa in più va aggiunto, da quell'ormai lontanissimo 2008. Acqua ne è passata sotto i ponti e forse è il momento di cominciare a riconoscere che 'la sfera del sociale' deve mantenere sempre e comunque una sua autonomia da quella 'del politico', e che la prima è la fonte del secondo, in altri termini la fonte del potere costituito è sempre il potere costituente del popolo sovrano e se il costituito non riconosce più la sovranità costituente dei popoli nel tentativo di sussumerne la totalità sociale, sarà necessario trovare un nuovo equilibrio, sociale e politico.

Rosario Cercola ha detto...

Interessante, molto interessante e settecentesca la coppia potere costituito/costituente... Del resto ho avuto modo di disvelare le ascendenze settecentesche dell'utopia eudaimonica... ;)

Ciro Brescia ha detto...

Immagino che ti riferisca a questa riflessione qui: http://socialismodelxxisecolo.blogspot.it/2010/10/la-pubblica-felicita.html

Per chi, poi, ci legge, ci auguriamo sempre di più, e non sia troppo avvezzo alle cosiddette "lingue morte", ricordiamo che con il termine 'eudaimonia' i Greci antichi intendevano una “vita realizzata”, una “vita degna di essere vissuta”, in quanto capace di corrispondere con le più profonde caratteristiche dell’essere umano.

La concezione eudaimonica propone di interpretare il ben essere come una particolare condizione di vita, una vita compiuta, piena, arricchente, in cui le capacità proprie di ciascuna persona possano trovare espressione e maturazione.

Discorso che richiama oggi, nell'Attualità sociale e politica latinoamericana al cosiddetto "Buen Vivir" o "Vivir bien", che è sempre più esplicitamente fine ultimo dichiarato dai governi popolari dei paesi dell'ALBA.