sabato 21 giugno 2008

Per una nuova etica: appunti sulla verità

Il 6 luglio 1415 veniva arso sul rogo il teologo ceco Jan Hus. Uno dei cardini della sua riflessione è rappresentato dal concetto di verità. Non è qui il luogo, naturalmente, per dar conto della complessità del personaggio e del pensiero da essi sviluppato, tuttavia l'idea hussita di verità, e la sua pratica, restano, forse anche in virtù del coerente martirio sopportato, all'oggi velate di un fascino che i secoli, e la damnatio memoriae operata dai vincitori cattolici, non sono riusciti a scalfire. "Cerca la verità, ascolta la verità, apprendi la verità, ama la verità, di' la verità, attieniti alla verità, difendi la verità fino alla morte", scrive nella Spiegazione della Confessione di fede, nel 1412.

Un ottimo spunto per continuare la nostra costruzione teorica e filosofica del movimento, attraverso la collocazione sul tavolo del restauro dei frammenti di pensiero e di azione che abbiamo a disposizione, e che ci provengono dalla lunga storia della guerra tra le forze della felicità e quelle dell'infelicità. In questo processo di costruzione un elemento, destinato anch'esso a marcare la differenza  con i movimenti che, segnatamente nel secolo scorso, si sono posti l'obiettivo della liberazione umana attraverso il superamento del capitalismo è quello, appunto, della necessità di informare il processo stesso della sua dimensione etica.

L'attivista anticapitalista e storico argentino Ezequiel Adamovsky nel suo Más allá de la vieja izquierda: seis ensayos para un nuevo anticapitalismo (Buenos Aires, Prometeo, 2007) afferma: "Non ha mai smesso di sorprendermi il rifiuto viscerale che manifesta molta gente di sinistra riguardo all'etica. Innumerevoli volte ho visto compagni saltare quando, per qualche motivo, ascoltano qualcuno utilizzare un vocabolario che rimanda all'universo morale. Se per necessità devono discutere circa mancanze nel comportamento di qualcuno, chiariscono sempre che "non si tratta di una questione morale", come se parlare di cose che sono "bene" o "male" non sia proprio di alcuno di sinistra. E benché  molta gente di sinistra è tra gli esseri più altruisti, buoni e generosi che uno possa incontrare in questo mondo, alla maggioranza infastidirebbe essere considerato una persona "buona" (aggettivo che, per l'universo culturale della sinistra, suole evocare caratteristiche di "debilità"). Questa strana contraddizione nella cultura miitante si deve al fatto che la sinistra ha rigettato tutta la problematica della valorizzazione morale dei compartamenti".

A partire da queste considerazioni e sviluppando il dibattito sul tema dell'etica sarà possibile costruire un movimento, e più in là un partito, i cui aspiranti a militanti abbiano ben chiaro che non esistono più politiche dei due tempi possibili, né è possibile conformare la propria condotta all'ipocrisia ostentando pubbliche virtù che mascherano vizi privati. Tra il prima e il dopo vi è stretta relazione dialettica, coerenza non solo di obiettivi ma, soprattutto, di comportamenti. "Non quindi la felicità come un obiettivo lontano ed ultimo, metafisico, rinviato sempre nel tempo, ma come movimento attuale. La felicità, quindi, non è un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi ma è il movimento reale che trasforma lo stato di cose presente", commentava così Ciro Brescia il post "Leon Battista Alberti e il socialismo del XXI secolo". Un modo diverso di dire la stessa cosa.

 

mercoledì 11 giugno 2008

L'informazione digitalizzata: metafora del comunismo?

Slavoj Žižek, filosofo in quel di Ljubljana e assurto a fama mondiale ormai da alcuni anni, si chiede se la rivoluzione dell'informazione non sia l'esemplificazione ultima della tesi di Marx secondo la quale, ad un certo stadio del loro sviluppo, le forze produttive entrano in conflitto con i rapporti di produzione vigenti. Il filosofo marxista, ancor più esplicitamente, si domanda: "la prospettiva di un 'villaggio globale' non segnala la fine delle relazioni di mercato, almeno nella sfera dell'informazione digitalizzata?".

Non si vuole qui ovviamente, e non per mancanza di volontà, riassumere lo sterminato dibattito sulla filosofia del P2P, della condivisione e dello scambio gratuito che il diffondersi su scala planetaria della Rete quale strumento di comunicazione pure ha parallelamente sollevato. Tuttavia la sollecitazione di Žižek appare molto stimolante nella potenza della metafora proposta. Non che brilli di particolare originalità l'idea di leggere il web quale nuova ideale forma nella quale collocare la sperimentazione di nuovi, e superiori, rapporti tra le donne e gli uomini, poiché la stessa antica contrapposizione tra Gemeinschaft (la comunità) e Gesellschaft (la società), e quindi tra i valori fondanti di ambedue le formazioni, sembra esplicitarsi  in maniera quasi paradigmatica quando ci avventuriamo nella selva oscura dell'informazione digitalizzata, esponendoci al rischio connesso di smarrire la diritta via.

Abbiamo pochi ingredienti per la nostra torta, al momento. Una rivoluzione nel modo di elaborare e diffondere le informazioni, una comunità destinata a crescere, ma che per ora presenta ancora i tratti di una élite, che attorno a questa rivoluzione si aggrega e qualche pensatore che, osservando tale realtà, legge in questo sviluppo la metafora del superamento dei rapporti sociali capitalistici. Ancora troppo poco, come si vede. Una traccia di ragionamento dalla quale non si può prescindere tuttavia, e che riprenderemo con maggiore approfondimento. Scopriremo forse che il villaggio globale, in quanto non-luogo, in quanto processo, è animato  anch'esso dallo scontro tra le forze della felicità e quelle dell'infelicità, così come i luoghi fisici, reali. La lotta è aperta, l'esito incerto.

venerdì 6 giugno 2008

Leon Battista Alberti e il socialismo del XXI secolo

"Guardo il mondo globalizzato. È pieno di uomini costantemente in cerca di qualcosa d'altro. Sembra che corrano e invece sono fermi, in una condizione di angosciante staticità. Credono di intercettare, di interpretare il cambiamento. Stanno bene solo quando arrivano prima degli altri, e questo indipendentemente da quale sia la meta. Ma pensiamoci un attimo: in realtà non progrediscono mai. Inseguono qualcosa che è fuori da sé, un modello che non esiste e che non possono raggiungere, perché non ha radici nella propria identità: un nuovo taglio o un nuovo colore di capelli, una nuova macchina, un nuovo lavoro, un nuovo corpo, una casa nuova. Una volta conquistati, sono già vecchi. E la corsa non finisce mai. È un movimento circolare, un falso progresso che non produce nulla, perché non poggia su nulla. Il risultato è il trionfo dell'individualismo, che ha generato relazioni interpersonali in frantumi, rituali religiosi ridotti a parate carnascialesche. Un polverone di contraddizioni. Crescono l'ansia, la paura, l'inquietudine, e nascono dalla consapevolezza dell'impermanenza. Il disagio è capillare, diffuso". Ho fatto un sogno Vivere nel socialismo dell'armonia», Zygmunt Bauman, La Repubblica delle Donne , novembre 2006).

Questa la fotografia impietosa che l'arzillo vecchietto Zygmunt Bauman, uno dei più famosi sociologi viventi, consegna a tutti noi circa il mondo attuale e gli uomini e le donne che lo abitano. I più eruditi conosceranno la produzione teorica, pressoché sterminata, del signore in questione, e si saranno dilettati con le ultime produzioni in tema di amore, vita e paura liquide (http://it.wikipedia.org/wiki/Zygmunt_Bauman#Opere).

In uno scenario del genere, appunto di disagio diffuso, di crisi valoriale e di identità, la classe dominante, la borghesia imperialista diremmo con classico lessico marxista-leninista, le forze dell'infelicità, come impareremo via via a dire, non può opporre nulla che non sia la mera riperpetuazione di se stessa e dei suoi rapporti sociali, basati sull'oppressione, lo sfruttamento, l'alienazione della grande parte della specie umana. Rapporti sociali di produzione che oltretutto in questo momento storico, e forse per la prima volta, costituiscono una seria minaccia per la sopravvivenza del pianeta, e con esso di tutte le specie viventi che lo abitano.

Ma se Cartagine (il campo nemico, le forze dell'infelicità) piange, poiché incapace di risolvere la crisi nella quale ha precipitato la sua stessa civiltà, e con essa il resto dell'umanità, va aggiunto che Roma (i potenziali distruttori delle forze dell'infelicità) non ride. Troppo grave ancora il peso della sconfitta storica delle ipotesi di costruzione del socialismo sperimentate nel XX secolo, troppo frettolose le analisi che tentano di fornire spiegazioni a quella sconfitta, grottescamente d'antan le risposte politico-organizzative abbozzate per far fronte alla crisi del progetto di trasformazione sociale. Almeno qui da noi nell'opulento occidente industrializzato.

Si tratta di fare piazza pulita, in maniera netta, radicale, delle illusioni e delle proiezioni ideologiche; essere all'altezza delle sfide che il presente impone senza nostalgie e senza isterici richiami all'identità e alle simbologie. Il capitale ormai globalizzato in quanto formazione economico-sociale mette di fronte a una sfida, adesso sì!, epocale. In questa sfida il nemico, pur non mutando la propria natura, rivoluziona se
stesso incessantemente. E se è vero che la velocità della trasmissione di informazioni attraverso il cavo a fibra ottica rappresenta una metafora dell'oggi, allora ad essa certamente non può essere contrapposta né la stessa velocità, poiché non bisogna mai usare le stesse armi del nemico, come insegna storicamente la guerra asimmetrica, né però la stasi del pensiero e dell'azione, il tritovagliamento di idee e di concezioni che rappresentano solo la spazzatura della grandezza tragica del secolo scorso. Occorre ecologia della mente e spregiudicatezza, occore pulizia. "I'm cleaning, I'm cleaning my brain”, cantavano i Talking Heads nel brano Artists Only.

Nell'articolo citato Bauman parla della necessità di un nuovo socialismo e conclude affermando: "Io ce l'ho un sogno, è quello di perseguire l'ideale rinascimentale di armonia. Per Leon Battista Alberti la bellezza era strettamente connessa all'equilibrio fra le parti. La centralità dell'individuo è una risorsa. Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma saper star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente. È una felicità solo all'apparenza più difficile da perseguire. In realtà sta lì, alla nostra portata. E riguarda tutti".

Socialismo e felicità dunque.