domenica 19 ottobre 2008

Il lavoro rende liberi?

Le considerazioni sulla possibilità di una critica etica al capitalismo, la sottolineatura della negazione che il capitale compie nei confronti del lavoro vivo, oggetto del post precedente, aprono la strada ad ulteriori riflessioni. Partiamo da un assunto: la dialettica pervasiva dell'interezza delle relazioni sociali attualmente dominanti è, e resta, quella capitale/lavoro, al di là dei generosi tentativi di superarla immaginando e creando luoghi interstiziali ove farne cessare la vigenza.

La critica al primo polo della contraddizione non può dirsi compiuta se non prefigurando la trasformazione del secondo. Il lavoro umano deve liberarsi dalle catene che il capitale gli impone, negare il proprio carattere astratto, gridare la propria vita, imporre il proprio dominio creatore. Solo lungo questa traiettoria sarà possibile eliminare l'equivoco, spesso artatamente propagandato dallo stesso capitale, dell'esistenza del tempo libero. Nella gigantesca Matrix capitalistica, che avviluppa il pianeta e quelli che lo abitano, non esiste realmente tempo libero dalla contraddizione capitale/lavoro, e non solo perché il primo tende ad occupare tutto il tempo sic et simpliciter, piegandolo al dominio della propria valorizzazione, ma soprattutto perché il lavoro, nella società contemporanea, non ha senso per l'essere umano ma solo per il capitale. Esso è privo di senso, benché tutti ne comprendano la dittatura del significato.

Sintetizza bene la portata del problema Ricardo Antunes che scrive "[...] il secolo che sta iniziando esige che si rifletta anche sul futuro del lavoro ovvero sul lavoro del futuro. A tal proposito affiora una questione che, a nostro avviso, è essenziale e che ci limitiamo soltanto a sintetizzare: una vita piena di senso fuori del lavoro presuppone una vita dotata di senso dentro il lavoro. Non è possibile far convivere lavoro privo di senso con un tempo veramente libero. Una vita sprovvista di senso nel lavoro è incompatibile con una vita piena di senso fuori del lavoro. In un certo senso, la sfera esterna al lavoro sarà contaminata dalla disaffezione che si concretizza nella vita lavorativa. Una vita piena di senso in tutte le sfere dell’essere sociale, potrà essere realizzata soltanto attraverso la demolizione delle barriere esistenti tra il tempo di lavoro ed il tempo di non-lavoro, di modo che, a partire da una attività vitale piena di senso, autodeterminata, aldilà dell’attuale divisione gerarchica che subordina il lavoro al capitale e, pertanto, su basi interamente nuove, possa svilupparsi una nuova socialità, dove l’etica, l’arte, la filosofia, il tempo veramente libero e l’ozio, in conformità con le aspirazioni più autentiche, suscitate dai continui stimoli della vita quotidiana, rendano possibile la gestione di forme interamente nuove di socialità, ove la libertà e la necessità si realizzano reciprocamente. Se il lavoro si arricchisce di senso, sarà anche (e decisivamente) grazie all’arte, alla poesia, alla pittura, alla letteratura, alla musica, al tempo libero, all’ozio che l’essere sociale potrà umanizzarsi ed emanciparsi in un senso più profondo" (http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=515).

La possibilità storica di superare l'attuale barriera che divide il lavoro alienato e il tempo del non-lavoro, suppostamente libero, rimanda pur sempre alla necessità di una rivoluzione degli attuali rapporti sociali.  L'idea-forza attorno alla quale costruire il movimento rivoluzionario del XXI secolo dovrà sciogliere il nodo della liberazione del lavoro.  Nella nuova società il lavoro necessario sarà tendenzialmente dotato di senso poiché in rapporto equilibrato con il tempo libero dal lavoro, e soprattutto perché entrambi saranno determinati dalla libera e consapevole scelta della comunità umana, emancipati quindi dal metabolismo pantoclasta del capitale. Nel nuovo rinascimento sarà possibile allora leggere statistiche che a fine anno ci diranno sì quanti milioni di tonnellate di grano o di acciaio sono stati prodotti ma forse anche, poiché non di solo pane vive l'uomo, quante poesie, o quanti quadri, o quante sinfonie, gli stessi uomini del grano e dell'acciaio hanno creato.

1 commento:

Ciro Brescia ha detto...

Qui di seguito il link di "un sogno lucido":
http://napoli.indymedia.org/node/5775