giovedì 13 novembre 2008

Pars (la parte). Quale partito?

Una delle tematiche delle quali ci siamo ripromessi di trattare è quella del partito, o delle forme organizzative più adatte a raccogliere, concentrare, indirizzare e dirigere l’esercito che avrà il compito di sconfiggere le forze dell’infelicità. Ognuno cercherà, a seconda dei tratti di strada politica percorsa nel secolo scorso, nel pozzo della sua memoria le occasioni nelle quali il tema ha squassato la propria vicenda e, tentando di nobilitare la propria militanza, sarà ben disposto a criticare questa o quella forma-partito. Quasi nessuno dei militanti d’oggidì sarà disposto ad ammettere che nessuna delle soluzioni proposte nel XX secolo, da quelle centralistico-democratiche proprie della vulgata leniniana-staliniana a quelle che negavano tout court la necessità per il proletariato di organizzarsi in partito al fine di disintegrare il dominio borghese, ha funzionato appieno. A meno di ammettere l’inesistenza di una dialettica tra mezzi (il partito) e fini (la costruzione del socialismo-comunismo).

Per uno dei paradossi della storia il crollo dei paesi socialisti, e la trasformazione finale dei partiti comunisti in Occidente in partiti democratici, ha prodotto, dopo un primo momento di sbandamento, la proliferazione di innumerevoli formazioni politiche che si autodefiniscono a vario titolo, e con varie sigle, “partiti comunisti”. Paradosso da un lato, segno dei tempi dall’altro. A differenza del secolo scorso, infatti, tali partiti hanno il notevole difetto, senza peraltro all’oggi mostrare evidenti segni di pregio, di nascere non dal “fuoco della lotta”, come usava dire, ma dalla testa di alcuni. Mossi certo da lodevoli intenti e bruciati dal sacro fuoco del desiderio di emancipare l’umanità. Tutti conoscono il mito della nascita di Atena, venuta fuori dalla testa del padre Zeus. In poche parole, in assenza di una significativa ripresa della lotta cosciente e organizzata per emancipare l’umanità, edificare la felicità diciamo noi, qualche bell’anima pretende di aver fondato il partito adatto a questo scopo. Ma il partito non nasce per partenogenesi, né è possibile immaginare un partito (il mezzo) che nel DNA non abbia già inscritti i suoi fini (la felicità).

Agli uomini del secolo scorso, che già vediamo ghignare al solo leggere le nostre considerazioni, regaliamo ancora una volta una citazione: “Noi dobbiamo creare una situazione politica vivace, caratterizzata insieme dal centralismo e dalla democrazia, dalla disciplina e dalla libertà, dall’unità delle volontà e dalla felicità di ciascun individuo”.

O almeno così riteneva Mao Tse-tung nella proposta di revisione dello Statuto del Partito comunista cinese, sottomessa a sua richiesta alla dodicesima sessione del Comitato centrale tenutasi dal 13 al 31 ottobre 1968.

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