martedì 24 febbraio 2009

Un partito, non una setta.

Il Latinoamerica si conferma sempre più uno dei luoghi della Terra più interessanti in questo momento. Non di facile entusiasmo per le pur brillanti affermazioni dei processi politici in atto si tratta. Da tempo siamo alla ricerca di elementi che promanano da quelle esperienze, infatti, in grado di essere generalizzati. Elementi universali dell'esperienza. Il terreno della riflessione politica latinoamericana ne offre alcuni di grande consistenza, utili forse a rianimare l'asfittico livello della discussione europea e italiana in particolare. Uno dei temi sui quali, prima nella pratica e poi nella teoria, la politica rivoluzionaria latinoamericana si sta confrontando, molto proficuamente, è quello del settarismo.

Nella quinta stesura del  MANUAL DE ÉTICA SOCIALISTA. Apuntes para contribuir a la preparación colectiva de un Código Ético de la Revolución Socialista Bolivariana, a cura del Colectivo Gramsci del Venezuela, al capitolo 39, leggiamo:

"Il settarismo è un grave male che colpisce pericolosamente la vita rivoluzionaria. Lottare il settarismo attraverso l’autoformazione personale, la critica e l’auto-critica, è il modo migliore per superarlo ed eliminarlo dal nostro corpo sociale e dalla nostra pratica politica.

Il settarismo si supera solo mediante uno sforzo profondo di comprensione della realtà della vita e dei compiti relativi alla trasformazione rivoluzionaria in tutta la sua ricchezza e complessità.

Il settarismo è il risultato di una visione e comprensione limitata e impoverita della realtà e della condizione umana. È escludente, divide, segrega, schematizza, è parziale, maldestro, limitato, impoverisce la realtà, la vita, le relazioni, distrugge possibilità potenziali di relazioni feconde nell’esistenza quotidiana.

Il settario è al tempo stesso vittima e carnefice della degenerazione, della deformazione ideologica della realtà, intendendo ideologia nel senso marxista: una serie di percezioni e di idee che in relazione ad una realtà non la chiarisce per trasformarla, ma che copre e giustifica ciò che ha costruito nel suo immaginario; che consente alle persone di dire una cosa e di farne un’altra, di apparire diversi da qual che sono.

Il pensiero settario usa strumenti teorici e metodologici semplificati all’estremo, disarticolati, che, in alleanza funesta con la burocrazia, si convertono in armi rigide e oppressive, provocando a volte danni irreversibili al movimento rivoluzionario.

La parola setta non è una semplice descrizione, “ha un significato sociologico e storico preciso: una setta è un gruppo, o un individuo, che agisce come tale, che erge come assoluto un solo lato, aspetto o fase del movimento dal quale è nato, fa di esso la verità della dottrina, la verità senza altro, le subordina tutto il resto e per mantenere la sua «fedeltà» a questo aspetto, si separa radicalmente dal mondo e vive, a partire da quel momento, in un «suo mondo a parte»”.

[…]

L’invocazione della fraseologia rivoluzionaria consente ai settari di pensare e presentarsi come altra cosa, completamente diversa da ciò che sono in realtà, seppellitori della verità e della vitalità del pensiero rivoluzionario, coloro che deprimono la lotta per la trasformazione della società, per l’emancipazione della vita. Sono depredatori ideologici.

Il settarismo isola o qualifica come nemico tutto ciò che o colui che non si adegua alla costruzione rigida che si è fatta della realtà. Molesta, persegue, accusa, manipola con la paura, estorce, distrugge. L’azione del settario con potere burocratico conduce al fascismo, semplicemente. È profondamente reazionario, antidemocratico, escludente, non crede nella partecipazione, diffida di chiunque non la pensi come lui.

Per la salute del socialismo è necessario combattere senza tregua il settarismo, e dare impulso alla più ampia e profonda comprensione umana".

Sforzo davvero inutile sarebbe aggiungere altro a tale precisa, approfondita, analisi del fenomeno del settarismo. Solo una chiosa per affermare con forza che il partito che abbiamo in mente non solo ricorderà tali parole ma, soprattutto, creerà le condizioni organizzative ed etiche per praticarle nella sua vita quotidiana.

domenica 8 febbraio 2009

Umano, troppo umano: transumano?

Può avere un senso, a fronte dell'attuale condizione umana, caratterizzata, entro certi limiti, addirittura dall'acuirsi di problemi quali la miseria materiale, quella spirituale, l'aumento dell'alienazione, il regresso verso pulsioni primordiali attraverso le quali rappresentarsi e rappresentare l'attuale crisi della società, può avere un senso parlare di superamento della condizione umana, così come conosciuta sin qui, da un punto di vista biopsichico? E, di più, questo eventuale superamento spianerebbe la strada verso il raggiungimento di una maggiore felicità?

Questi interrogativi a prima vista possono apparire quanto meno stravaganti, eppure, dal nostro peculiare punto di vista, anch'essi rimandano al problema che ci siamo posti, alle strategie per costruire la felicità umana. Sarebbe qui lungo dare una sintesi del dibattito che si sta sviluppando attorno al concetto di transumanesimo, tuttavia basti per ora, almeno per inquadrare il tema, la sintetica definizione datane per l'enciclopedia di MondOperaio da Riccardo Campa: "Il termine transumanesimo indica una dottrina filosofica appartenente alla famiglia delle ideologie progressiste. Gli intellettuali transumanisti elaborano, studiano o promuovono le tecnologie finalizzate al superamento dei limiti umani. Analizzano i trend, le dimensioni psicologiche, le implicazioni etiche e l’impatto sociale di tali tecnologie, ponendo in luce soprattutto gli aspetti positivi dello sviluppo scientifico, ma senza sottovalutarne i potenziali pericoli. Con lo stesso termine si indica il movimento intellettuale e culturale che, facendo riferimento a tale filosofia, ritiene possibile e desiderabile l’alterazione in senso migliorativo della condizione umana. Per ‘miglioramento’ si intende la limitazione e, possibilmente, l’eliminazione di processi naturali come l’invecchiamento, la malattia e la morte, nonché l’aumento delle capacità intellettuali, fisiche e psicologiche dell’uomo" (ulisse.sissa.it/biblioteca/saggio/2007/Ubib070309s001/?searchterm=campa).

Ma perché ciò dovrebbe avere attinenza col nostro discorso sulla felicità? Per il motivo semplice che il transumanesimo pone il problema di una rottura del paradigma scientifico, così come finora sedimentatosi, con la stessa carica dirompente con la quale i filosofi della felicità sovvertono le mortifere ideologie dell'afflizione dell'uomo. Come continua Campa: "Finora, due etiche della scienza si sono confrontate sul palcoscenico della storia, quella degli utilitaristi e quella dei razionalisti. Per gli utilitaristi la scienza ha senso soltanto se è utile all’uomo. Questa visione è ben rappresentata dal detto baconiano «sapere è potere». I razionalisti ritengono invece che la scienza sia un bene in sé. Questa visione, che trova testimonianze già al tempo dei Presocratici, può essere sintetizzata nella formula: «sapere è dovere». Ora siamo giunti ad una visione nuova che sintetizza gli insegnamenti dell’utilitarismo e del razionalismo ad un livello più alto. Con il transumanesimo, l’uomo giunge alla consapevolezza che: «potere è sapere»".

Cambio di paradigma scientifico dunque, aria nuova e fresca, idee delle quali discutere. Il mulino del Partito della Felicità accoglie in continuazione, tra le sue pale, chiare, fresche e dolci acque e inizia a far girare la sua ruota, per ora lentamente certo, cionondimeno con calmo vigore.