martedì 27 gennaio 2009

Ancora sull'organizzazione. E sull'etica.

C'è la necessità di ritornare, e tante altre volte lo si farà, sul grande tema dell'organizzazione. Questa volta tentando di approfondire una questione che nel post precedente avevamo tratteggiato superficialmente, ovvero la dialettica tra i mezzi e i fini. Questo ci consentirà di meglio comprendere l'assoluta necessità che la prossima ondata rivoluzionaria si caratterizzi nella sua pratica, il che significa anche nella sua teoria, in maniera da rompere la separazione tra i due termini della dialettica sopra citata.

Per quanto possa sembrare astratto il tema, in realtà esso assume riflessi molto concreti. Costruire forme organizzative tali da superare la divaricazione tra mezzi e fini significa, innanzitutto, sforzarsi di offrire a quei fini strumenti più adatti alla loro realizzazione, immaginare possibilità nuove e diverse, grazie alle quali superare il fallimento del passato e iniziare a sconfiggere l'inconcludenza del presente.

Si tratta di inoculare il germe dell'etica nel corpo delle future forme organizzative rivoluzionarie. E ciò non per imbellettare la postura della militanza, ma per ragioni pratiche.

Così scrive Ezequiel Adamovky nel suo La politica dell'autonomia: "In generale, sia in pratica che in teoria, l'atteggiamento della sinistra verso l'etica - cioè il principio che deve orientarci alle buone azioni permettendoci di distingere queste ultime da quelle cattive - consiste nel considerarla una questione meramente "epistemologica". In altre parole le azioni politiche sono considerate "buone" se corrispondono ad una "verità" nota in anticipo. La questione di ciò che è eticamente bene o male è così ridotta al problema di una "linea" politica corretta o non corretta. In questo modo la sinistra spesso finisce con il rigettare implicitamente ogni etica dell'aiuto dell'altro (e voglio dire l'altro concreto, i nostri simili); invece la sinistra la rimpiazza con una certa ideologia-verità che si vuole rappresentante di un altro "astratto" ("l'Umanità"). Gli effetti concreti di questa assenza dell'etica si possono vedere nella nostra pratica concreta in casi innumerevoli in cui degli attivisti politici, altrimenti del tutto benintenzionati, manipolano e infliggono violenza ad altri in nome della "verità". (Non c'è da sorprendersi poi se la gente comune preferisce tenersene alla larga). Questo atteggiamento non è soltanto sbagliato per la sua mancanza di etica, ma anche perché è spesso inconsciamente elitista e impedisce una reale cooperazione tra uguali. Se pensate di possedere la verità non starete a "perdere" tempo ascoltando gli altri, né sarete disposti a negoziare sul consenso. È questa la ragione per cui una vera politica d'emancipazione deve basarsi su una ferma e radicale etica dell'uguaglianza e della responsabilità nei confronti degli altri. Dobbiamo ancora fare molta strada in questo senso se vogliamo creare, diffondere ed incarnare una nuova etica. Fortunatamente molti movimenti stanno già lavorando in questa direzione. Lo slogan degli zapatisti "camminiamo alla velocità del più lento" non è altro che il capovolgimento della relazione tra verità ed etica[...]". Ci sentiamo di condividere l'importante sollecitazione.

1 commento:

Ciro Brescia ha detto...

Nel Fronte di Massa del Movimento de Los Trabalhadores rurais Sem Terra l'organizzazione è compito delle Brigadas de Organicidade (Briagate di Organicità). L'MST, infatti, teorizza che il concetto di organizzazione è necessario ma non sufficiente per il complesso dell'organismo/sistema che è vivo, vitale e dialettico come il corpo umano e non meccanico e lineare come un motore di una macchina; ovviamente è qualcosa di più, qualcosa di irriducibile. Ogni organo del corpo ha la propria autonomia, ma tutti gli organi, che hanno una loro intelligenza interna, servono all'organismo nel suo complesso e fra loro sono relazionati. Il concetto di organicità è stato utilizzato da Gramsci, ma non solo. Sulla rivista on line 'n+1', si legge: "Noi contrapponiamo al concetto di uguaglianza quello di organicità. Le cellule di un organismo vivente sono differenziate e partecipano al tutto in quanto tali. Un tutto organico esalta sempre le funzioni delle sue parti differenziate, perché solo in questo modo ogni cellula individuale può dare all'organismo collettivo il meglio delle proprie potenzialità (come del resto osserva Marx in appunti del 1843).
L'organicità nel lavoro esclude il ricorso a formalismi organizzativi quando non ve ne sia l'assoluta necessità. Oggi tutte le attività produttive della specie umana sono svolte in modo centralizzato, pianificato, collegato, insomma coerente con il livello tecnico raggiunto dal capitalismo ultramaturo. La tecnica e il lavoro socializzati sono entrati nella natura della specie umana, e sono riscontrabili nella storia fin dall'epoca di antiche comunità altamente organizzate. La disciplina e il centralismo, quindi, non sono un dettato statutario o morale, ma il risultato pratico del rapporto organico tra gli individui, l'insieme di essi e il fine che si danno. La Sinistra Comunista affermò che fra militanti rivoluzionari 'si può tendere a dar vita ad un ambiente ferocemente antiborghese che anticipi largamente i caratteri della società comunista', e definì il partito come 'proiezione nell'oggi dell'Uomo-Società di domani'. Il Partito Comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale Comunista dal 1921, non aveva segreterie né sedi centrali; il lavoro di coordinamento era svolto da cinque persone perché la rete degli aderenti era organica al programma ed aveva perciò capacità di auto-organizzazione come un corpo vivente."
Almeno sulla questione specifica si illustra una idea interessante da prendere in considerazione per il dibattito.