venerdì 6 giugno 2008

Leon Battista Alberti e il socialismo del XXI secolo

"Guardo il mondo globalizzato. È pieno di uomini costantemente in cerca di qualcosa d'altro. Sembra che corrano e invece sono fermi, in una condizione di angosciante staticità. Credono di intercettare, di interpretare il cambiamento. Stanno bene solo quando arrivano prima degli altri, e questo indipendentemente da quale sia la meta. Ma pensiamoci un attimo: in realtà non progrediscono mai. Inseguono qualcosa che è fuori da sé, un modello che non esiste e che non possono raggiungere, perché non ha radici nella propria identità: un nuovo taglio o un nuovo colore di capelli, una nuova macchina, un nuovo lavoro, un nuovo corpo, una casa nuova. Una volta conquistati, sono già vecchi. E la corsa non finisce mai. È un movimento circolare, un falso progresso che non produce nulla, perché non poggia su nulla. Il risultato è il trionfo dell'individualismo, che ha generato relazioni interpersonali in frantumi, rituali religiosi ridotti a parate carnascialesche. Un polverone di contraddizioni. Crescono l'ansia, la paura, l'inquietudine, e nascono dalla consapevolezza dell'impermanenza. Il disagio è capillare, diffuso". Ho fatto un sogno Vivere nel socialismo dell'armonia», Zygmunt Bauman, La Repubblica delle Donne , novembre 2006).

Questa la fotografia impietosa che l'arzillo vecchietto Zygmunt Bauman, uno dei più famosi sociologi viventi, consegna a tutti noi circa il mondo attuale e gli uomini e le donne che lo abitano. I più eruditi conosceranno la produzione teorica, pressoché sterminata, del signore in questione, e si saranno dilettati con le ultime produzioni in tema di amore, vita e paura liquide (http://it.wikipedia.org/wiki/Zygmunt_Bauman#Opere).

In uno scenario del genere, appunto di disagio diffuso, di crisi valoriale e di identità, la classe dominante, la borghesia imperialista diremmo con classico lessico marxista-leninista, le forze dell'infelicità, come impareremo via via a dire, non può opporre nulla che non sia la mera riperpetuazione di se stessa e dei suoi rapporti sociali, basati sull'oppressione, lo sfruttamento, l'alienazione della grande parte della specie umana. Rapporti sociali di produzione che oltretutto in questo momento storico, e forse per la prima volta, costituiscono una seria minaccia per la sopravvivenza del pianeta, e con esso di tutte le specie viventi che lo abitano.

Ma se Cartagine (il campo nemico, le forze dell'infelicità) piange, poiché incapace di risolvere la crisi nella quale ha precipitato la sua stessa civiltà, e con essa il resto dell'umanità, va aggiunto che Roma (i potenziali distruttori delle forze dell'infelicità) non ride. Troppo grave ancora il peso della sconfitta storica delle ipotesi di costruzione del socialismo sperimentate nel XX secolo, troppo frettolose le analisi che tentano di fornire spiegazioni a quella sconfitta, grottescamente d'antan le risposte politico-organizzative abbozzate per far fronte alla crisi del progetto di trasformazione sociale. Almeno qui da noi nell'opulento occidente industrializzato.

Si tratta di fare piazza pulita, in maniera netta, radicale, delle illusioni e delle proiezioni ideologiche; essere all'altezza delle sfide che il presente impone senza nostalgie e senza isterici richiami all'identità e alle simbologie. Il capitale ormai globalizzato in quanto formazione economico-sociale mette di fronte a una sfida, adesso sì!, epocale. In questa sfida il nemico, pur non mutando la propria natura, rivoluziona se
stesso incessantemente. E se è vero che la velocità della trasmissione di informazioni attraverso il cavo a fibra ottica rappresenta una metafora dell'oggi, allora ad essa certamente non può essere contrapposta né la stessa velocità, poiché non bisogna mai usare le stesse armi del nemico, come insegna storicamente la guerra asimmetrica, né però la stasi del pensiero e dell'azione, il tritovagliamento di idee e di concezioni che rappresentano solo la spazzatura della grandezza tragica del secolo scorso. Occorre ecologia della mente e spregiudicatezza, occore pulizia. "I'm cleaning, I'm cleaning my brain”, cantavano i Talking Heads nel brano Artists Only.

Nell'articolo citato Bauman parla della necessità di un nuovo socialismo e conclude affermando: "Io ce l'ho un sogno, è quello di perseguire l'ideale rinascimentale di armonia. Per Leon Battista Alberti la bellezza era strettamente connessa all'equilibrio fra le parti. La centralità dell'individuo è una risorsa. Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma saper star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente. È una felicità solo all'apparenza più difficile da perseguire. In realtà sta lì, alla nostra portata. E riguarda tutti".

Socialismo e felicità dunque.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che Guevara nelle sue note per lo studio della ideologia della Rivoluzione Cubana (1960) espresse quanto segue:

“La Rivoluzione cubana riprende Marx dove questi lascia la scienza per impugnare il fucile rivoluzionario; e lo riprende da lì, non per spirito di revisione, per lottare contro ciò che viene dopo Marx, per far rivivere un Marx “puro”, ma, semplicemente, perché fino a lì Marx, lo scienziato collocato fuori della storia, studiava e vaticinava. Dopo Marx rivoluzionario, dentro la storia, lotterà. Noi, rivoluzionari pratici, iniziando la nostra lotta semplicemente agiamo secondo leggi previste da Marx scienziato e da questo cammino di ribellione, lottando contro la vecchia struttura del potere, con l’appoggio del popolo per distruggere questa struttura e, tenendo come base della nostra lotta la felicità del popolo, ci stiamo attenendo alle previsioni dello scienziato Marx. Come a dire, ed è bene puntualizzarlo una volta di più, le leggi del marxismo sono presenti negli avvenimenti della Rivoluzione cubana, indipendentemente dal fatto che i suoi leader professino o conoscano interamente, da un punto di vista teorico, queste leggi”.

Quindi, oltre a sottolineare che non si tratta di imparare prima per fare poi, esprime un altro concetto importante: la lotta del popolo avanza nella misura in cui è presente la felicità nella lotta. Non quindi la felicità come un obiettivo lontano ed ultimo, metafisico, rinviato sempre nel tempo, ma come movimento attuale. La felicità, quindi, non è un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi ma è il movimento reale che trasforma lo stato di cose presente.
(Ciro Brescia)